Freschi e trasformati, ai produttori le briciole

Report Ismea sull'agroalimentare: export record, ortofrutta locomotiva

Freschi e trasformati, ai produttori le briciole
L’Italia dell’agroalimentare corre e l’ortofrutta ne è la locomotiva, ma ai produttori restano le briciole. La ripartizione dei margini lungo la filiera presenta infatti forti squilibri a favore delle fasi più a valle (logistica e distribuzione): è uno degli aspetti che emerge dal "Rapporto sulla competitività" presentato ieri a Roma da Ismea alla presenza del ministro delle Politiche agricole e del Turismo Gian Marco Centinaio. Complessivamente l’agroalimentare esprime 61 miliardi di euro di valore aggiunto, 1,4 milioni di occupati e conta oltre un milione di imprese.
 


Su 100 euro destinati dal consumatore all’acquisto di prodotti agricoli freschi, è stato detto, rimangono al produttore sei euro di utile, contro i 17 euro in capo alle imprese del commercio e del trasporto. Nel caso dei prodotti alimentari trasformati, dove la filiera si allunga, l’utile per l’imprenditore agricolo si contrae ulteriormente, scendendo - stando alle rilevazioni Ismea - sotto i due euro, al pari di quello realizzato dall’industria alimentare, mentre la quota preponderante del valore è destinata alla fase della distribuzione e della logistica che, insieme, trattengono 11 euro.  



Numerosi gli spunti d’interesse legati all’ortofrutta contenuti nel report (sopra un momento della presentazione): c’è infatti molto del settore nel record dell’export agroalimentare tricolore che ha chiuso il 2017 con un valore di 41 miliardi di euro, pari all’8% delle esportazioni Ue. All’Italia, infatti, si deve il 35%-36% dell’export europeo di mele e di uva, il 47% di quello di kiwi, il 61% di quello di nocciole sgusciate, il 35% di quello di prodotti vivaistici. 



E’ anche (e soprattutto) grazie a queste percentuali monstre se negli ultimi cinque anni le esportazioni italiane del settore sono aumentate del 23%, più di quelle dell’Ue (+16%). Guardando ai mercati di sbocco, spicca il successo competitivo su Paesi a domanda più dinamica come Bulgaria, Lettonia e Romania. Progressi importanti si sono registrati in Ucraina, Brasile, Marocco; positivi, ma meno significativi, gli aumenti della quota italiana in Australia, Stati Uniti, Canada, Argentina e Cina.

Ammonta invece a 160 miliardi di euro la spesa che gli italiani hanno destinato nel 2017 all’alimentazione e alle bevande sia a casa sia fuori dalle mura domestiche. Una percentuale pari al 15% dei consumi totali. E anche in questo, l’ortofrutta dice la sua: in crescita, infatti, la spesa degli italiani non solo per l’incremento dei prezzi ma anche per la capacità del comparto di intercettare, prima di altri - scrive il Rapporto Ismea - le nuove tendenze e le richieste dei consumatori, mettendo a punto un’offerta variegata di prodotti salutistici e ad alto contenuto di servizio, con tassi di crescita a due cifre in volume e valore, per tutto l’ultimo quinquennio.


Nel Report Ismea anche il confronto tra la produzione italiana e quella di Francia, Spagna e Germania

Guardando alla top ten dei prodotti maggiormente acquistati nel 2017 dagli italiani, il primo posto è appannaggio proprio dell’ortofrutta fresca con un peso sulla spesa del 13,4%, davanti a carni fresche (9,5%) e formaggi (8,4%). A seguire salumi, ortofrutta trasformata, pesce, vino, latte, acqua in bottiglia e solo all’ultimo posto della top 10 la pasta. 

La dinamica dei consumi risente anche dei cambiamenti dei comportamenti d’acquisto, caratterizzati da una sempre più marcata polarizzazione su due categorie di consumatori: i golden shopper (i più orientati verso elementi valoriali, tangibili ed etici) e i low price (i più attenti al prezzo e alle promozioni).


Nel 2017, intanto, il biologico ha continuato la sua corsa: ad acquistarlo, ben nove famiglie italiane su 10. Complessivamente l’incidenza del bio nei consumi complessivi degli italiani ammonta al 3%, con settori che continuano a crescere e fare da traino come, guarda caso, gli ortaggi (+11,5%) e la frutta (+18,3%) e altri, che seppur partiti con ritardo, mostrano performance di tutto rilievo: vino (+109,9%), carni fresche (+65,2%) e trasformate (+35,4%), oli e grassi vegetali (+41,1%). Nell’organic, peraltro, l’Italia risulta divisa in due: il Nord della penisola esprime il 64% della domanda e il Sud rappresenta solo l’11%, pur essendo l’area del Paese da cui proviene gran parte della produzione certificata.

“L’agroalimentare esce dal decennio di crisi con un ruolo più forte nell’economia italiana, dimostrando una grande tenuta economica e sociale nel momento peggiore e una buona capacità di agganciare la ripresa”, ha sottolineato il direttore generale di Ismea, Raffaele Borriello.

“Abbiamo un potenziale enorme in termini di valore della produzione, denominazioni registrate, crescita del bio - ha detto il ministro Centinaio -. Dietro le cifre c’è tutto il peso della qualità, ci sono la passione, la storia, la tradizione che rendono unico il Made in Italy agroalimentare nel mondo. La nostra agricoltura è la più multifunzionale d’Europa, ora va resa ancora più competitiva”.

Anche perché il confronto con Paesi quali Francia, Germania e Spagna contenuto all’interno del report Ismea rileva un gap sfavorevole ancora elevato in termini di strutture aziendali, di efficienza, di tecnologia e produttività.

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