I Fondi di Investimento alla conquista dell’ortofrutticoltura spagnola

La seconda puntata mette in luce in dettaglio le motivazioni e le prospettive future

I Fondi di Investimento alla conquista dell’ortofrutticoltura spagnola

Lo scorso 8 novembre abbiamo pubblicato su IFN la prima parte dell’analisi sullo sviluppo dei Fondi d’Investimento internazionali nella ortofrutticoltura spagnola (Clicca qui per approfondire) lasciando aperti alcuni temi che saranno oggetto di analisi in questa seconda puntata. 

In particolare:
1. Perché i Fondi, finora orientati su altri settori, sono passati ai prodotti agricoli freschi?
2. Perché i Fondi hanno investito il 60% delle loro attività nel comparto degli agrumi, il più piccolo dei tre grandi comparti dell’ortofrutticoltura spagnola?
3. Che cosa guadagna o perde il settore agrumicolo spagnolo con l'entrata dei Fondi d’investimento?
4. Quale sarà l’effetto sugli agricoltori che prima vendevano i loro prodotti a imprese familiari e che ora si devono rapportare con soggetti diversi? 
5. E quale sarà l'effetto sul settore ortofrutticolo in generale?

1. Perché i Fondi, finora orientati ad altri settori, sono passati ai prodotti agricoli freschi?
La prima ragione è che erano impegnati in settori che davano loro più redditività, fino all’arrivo della crisi del 2008,  quando si è registrato un grande calo del valore del denaro e degli interessi. L’agricoltura ha così iniziato a rappresentare il mercato del futuro, a partire dai cereali, caffè, zucchero e altri prodotti standardizzati. Meno attraenti, invece, erano alcune categorie, come i prodotti ortofrutticoli freschi, caratterizzate da prezzi molto volatili e dipendenti dal clima sia nella produzione che nel consumo.
Nel frattempo si continuavano a registrare nuovi record del “miracolo ortofrutticolo spagnolo”, poiché il miglior comparto spagnolo tra il 2008 e il 2016 in termini di esportazioni è stato quello ortofrutticolo per il fresco, che è cresciuto del 62%, mentre l'insieme delle esportazioni spagnole è cresciuto solo del 35%. 
Mentre milioni di posti di lavoro venivano distrutti in Spagna a causa della crisi immobiliare ed è stato necessario il salvataggio di Banche e Casse di Risparmio, il comparto ortofrutticolo continuava a generare occupazione, assorbendo gran parte dell'immigrazione, con significativi sviluppi in molte zone produttive.
E per chiudere il cerchio, è stato uno dei comparti che, per sua stessa natura, è rimasto legato alla produzione di beni indispensabili, per cui non ha avuto bisogno di alcun aiuto né di alcun sostegno economico, come la cassa integrazione, durante la pandemia.
Inoltre, il comparto ha raggiunto in maniera naturale obiettivi di sostenibilità, che si sono fortemente accresciuti nel post pandemia con le nuove politiche europee e con gli obiettivi di sviluppo sostenibile dell'ONU.
Gli investimenti sulle aziende ortofrutticole hanno automaticamente trasferito una immagine ‘verde’ ai Fondi, che sono in realtà entità puramente finanziarie. In questo modo, poi, i Fondi hanno potuto diversificare i loro investimenti. Se a questo aggiungiamo le polemiche generatesi sulla sovranità alimentare, è evidente che investire nell'alimentare contribuisca a creare una buona immagine.

2. Perché i fondi hanno investito il 60% delle loro attività nel comparto degli agrumi, il più piccolo dei tre grandi comparti dell’ortofrutticoltura?
Oggi è sì il comparto più piccolo, ma è altrettanto evidente che è il più maturo e quello che ha avuto per dinamica interna un grande processo di concentrazione dal 1994 fino a oggi. Quando la Spagna è entrata nel mercato unico c'erano 773 esportatori di agrumi, con una media di 6.500 tonnellate esportate per impresa. Nel 2019 erano rimasti solo 290 esportatori, con una media di 25.000 tonnellate esportate per azienda. 
Cominciavano inoltre a formarsi imprese che andavano al di là della dimensione piccola e media, con un livello di penetrazione del mercato che includeva la commercializzazione di agrumi dell'intero emisfero australe, indispensabile per coprire il mercato per dodici mesi all'anno. Questa nuova tipologia di azienda è stato oggetto di interesse per i Fondi.
D'altra parte, il carattere familiare di molte di queste aziende che si aprivano alle terze generazioni (con la complessità intrinseca di qualsiasi azienda familiare), grazie all’ingresso dei Fondi è stato possibile superare la conflittualità familiare interna.
Gli altri comparti, quali frutti non agrumi e ortaggi, hanno imprese molto più giovani e sono inserite in contesti più dinamici e, di conseguenza, anche più volatili: questo spiega probabilmente il ritmo più lento dell'afflusso dei Fondi.

3. Che cosa guadagna o perde il comparto agrumicolo spagnolo con l'entrata dei Fondi d’investimento?
Fino alla fine del secolo scorso, il comparto agrumicolo spagnolo era concentrato nella Comunità Valenciana e basato su minimprese, da un lato, e su un gran numero di esportatori, dall’altro. Con questa struttura non solo è stata creata ricchezza, ma è stata anche distribuita. Questo modello oggi è in crisi: si stanno sviluppando aziende agricole più grandi e tecnologiche, che hanno progredito più rapidamente ad Alicante Sud, Murcia e Andalusia, mentre Castellón e Valencia registrano perdite costanti di superficie agrumicola (Clicca qui per approfondire). D'altra parte, le aziende di commercializzazione sono cresciute e i Fondi si stanno dirigendo verso di loro, generando grandi gruppi agrumicoli, posizionati in diverse zone di produzione e in diversi emisferi, il che implica una gestione su dodici mesi all’anno che rafforza la leadership spagnola sulla categoria. Di fatto, strappa all’Olanda una parte delle importazioni che deteneva dall’emisfero sud, poiché questi grandi gruppi ora esercitano una strategia globale sulla categoria.  
Non è diverso da quello che è successo con l'avocado, dove i leader spagnoli della costa tropicale andalusa sono passati, in appena un decennio, da commercianti della loro produzione locale a gestori della categoria in Europa, indipendentemente dall'origine del prodotto.

4- Quale sarà l’effetto sugli agricoltori che prima vendevano i loro prodotti a imprese familiari e che ora si rapportano con soggetti diversi? 
Sinceramente non ho una risposta chiara, perché potrebbero essercene diverse. Le storiche imprese familiari erano solite reinvestire i profitti o nella stessa azienda o nel territorio. I Fondi devono prelevare almeno una parte dei profitti per ripagare i proprietari del capitale, che normalmente non appartengono al territorio che genera il profitto. L'aumento di valore che i Fondi apportano riuscirà a generare benefici per il territorio e per i Fondi? Dipende dal tipo di fondo, dal successo nel gruppo generato e dall'anima dello stesso.
Le aggregazioni sugli agrumi in fase di costruzione raggiungono livelli inimmaginabili solo alcuni anni fa nel settore e ciò, in un modo o nell’altro, si ripercuoterà sugli agrumicoltori. Le Cooperative e i loro soci dovranno concentrarsi, entrare nel gioco di una agrumicoltura globale, perché sarà il mercato stesso a spingerli in questa direzione.
Tutti questi movimenti comportano un rischio di perdita di indipendenza e di un certo controllo territoriale nelle decisioni, perché i Fondi danno ovviamente priorità alla remunerazione sul capitale e non a quello delle persone e dei territori in generale.

5- E quale sarà l'effetto sul settore ortofrutticolo in generale?
Tre anni fa il mio amico Enrique de los Ríos scrisse una risposta molto accurata a questa domanda e mi allineo completamente a questa, perché nonostante il tempo trascorso, rimane attuale.
Diceva: “Il settore agroalimentare è di importanza cruciale, come ha dimostrato ai tempi del Coronavirus, ma ha ancora bisogno di investimenti, visione, creatività e professionalizzazione per poter continuare a generare valore, sebbene si impegni sempre più nelle soluzioni ai problemi delle società in cui opera. Dai Fondi, può venire parte della soluzione: potrebbero aiutare nel diffondere maggiore “conoscenza” del settore agroalimentare, incorporando (a breve termine) valori sociali oltre a quelli finanziari, con un orientamento senza complessi verso la creazione di valore nella supply chain”. 

Hanno collaborato Fabrizio Pattuelli e Alice Magnani

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