«Energia, ecco cosa può fare l'agricoltura»

Chicco Testa: «Vertical e precision farming esempi da seguire»

«Energia, ecco cosa può fare l'agricoltura»
Il caro-energia sta avendo un impatto violento anche sul settore primario. L'Europa preme l’acceleratore per l’abbandono delle fonti fossili in favore delle energie rinnovabili, ma la cosiddetta transizione energetica ha un costo - in termini economici e anche energetici - non indifferente. Soprattutto con le condizioni attuali.

La strada è davvero percorribile? In che tempi? Abbiamo incontrato Chicco Testa - dirigente industriale di lungo corso, ex presidente dell'Enel ma anche di Legambiente e due legislature da deputato alle spalle - a Bologna in occasione del convegno “Agricoltura e fabbisogni energetici” organizzato da Confagricoltura, dove è intervenuto come esperto e presidente di Assoambiente per illustrare quale ruolo potrà giocare il mondo della produzione agricola nella partita dell’energia.

Mentre l’Europa preme per la transizione energetica green la Russia chiude i rubinetti del gas e i costi energetici di tutto il Paese, agricoltori inclusi, volano alle stelle: la strada della transizione energetica si mostra decisamente in salita. Le fonti fossili saranno ancora cruciali per molto tempo?

In questi mesi sta diventando evidente quanto sia davvero complessa la transizione energetica: è un obiettivo perseguibile e sicuramente da perseguire, come anche indicato dall’Unione Europea, ma ora sta diventando chiaro a tutti e non solo agli esperti che non sarà un percorso semplice come certe narrazioni l’hanno dipinta. Sostituire le fonti fossili sarà un processo lungo e impegnativo. Bisogna considerare che a livello globale, ogni giorno, si consumano circa 100 milioni di barili di petrolio da 160 litri ciascuno, tra le 15 e le 20 milioni di tonnellate di carbone e 15 miliardi di metri cubi di gas: pensare che tutto questo possa essere sostituito in fretta è un’illusione.



Sembra quasi un invito a lasciar perdere le rinnovabili.

Al contrario. Occorre investire nelle rinnovabili, anche con decisione, ma tenendo bene a mente che i combustibili fossili avranno un peso rilevante ancora per diversi decenni. E senza dimenticare che le rinnovabili, così come il nucleare, generano energia elettrica che, a oggi, rappresenta il 20/25% dei consumi globali: tutto il resto è gas, petrolio e carbone. Il processo di maggior penetrazione dell’energia elettrica in sostituzione dei combustibili fossili, come nel caso dei motori elettrici, richiede tempi e costi non trascurabili. In una parola, anzi due: servono equilibrio e innovazione.

Il mondo agricolo che contributo può dare?

Da quando l’uomo ha abbandonato il nomadismo per coltivare la terra, l’agricoltura è stata motore di innovazione ed evoluzione. Oggi deve continuare a seguire questa via, partendo dal presupposto che anche sul fronte energetico funzionano certe regole del mondo agricolo: differenziare, ottimizzare i consumi, individuare nuove soluzioni. Innanzitutto è necessario, per quanto possibile, differenziare le fonti sfruttando le energie rinnovabili per quanto possibile. Parallelamente si dovrebbero ridurre i costi energetici ottimizzando le produzioni: penso all’agricoltura di precisione dove è ridotto al minimo l’utilizzo di acqua, fertilizzanti e pesticidi, o ad alcune soluzioni di vertical farming dove, per alcune specie, si ottengono rendimenti all’ettaro fino a 10 volte superiori rispetto alle coltivazioni tradizionali, con il medesimo dispendio di energia. E non va trascurato il fronte del miglioramento genetico con l’obiettivo di selezionare specie che abbiamo maggiore produttività e resistenza ai fenomeni siccitosi e ai parassiti. Tutti questi fronti, e sono solo degli esempi, permetterebbero di produrre di più con la stessa quantità di energia.



Quindi è possibile “fare di più con meno” anche sul fronte energetico?

Certamente sì: la parola chiave è decoupling, cioè disaccoppiamento tra crescita economica e consumo risorse ambientali. Del resto è un processo che conosciamo bene: dal Dopoguerra a oggi la popolazione mondiale è passata da 2,5 a 7 miliardi di abitanti ma la quantità di terreni coltivati è pressoché identica. Ad essere cambiata è la produttività di quei terreni: le rese per ettaro si sono moltiplicate nonostante la diminuzione della forza lavoro impegnata nel settore primario che, in Italia è passata dal 40% del dopoguerra al 5-6% attuale. Sfamare il mondo del futuro significa riuscire a migliorare continuamente la produttività dei terreni, incrementare l’output economico usando sempre meno energia e risorse naturali. L’umanità segue questa strada da poche centinaia di anni: penso che si possa fare ancora molto magari decidendo di spendere molto meno in incentivi e bonus, talvolta di dubbia utilità, e investendo molto di più in ricerca e sviluppo.

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