La IV gamma in un vicolo cieco

Vendite record nel 2022 ma i bilanci delle imprese sono in rosso

La IV gamma in un vicolo cieco

Il primo consuntivo provvisorio del 2022 elaborato dal Monitor Ortofrutta di Agroter ci dice che il mercato della IV gamma ha superato i 900 milioni di euro di vendite al dettaglio, con una crescita che l’ha portato oltre i valori precedenti alla pandemia. La marca privata, caso unico nel largo consumo, continua a rappresentare oltre il 60% del mercato ma – ancora fuori dal coro - ha visto ridursi l’euro per kg di quasi 4 punti percentuali nell'ultimo anno, mentre il grocery in complesso ha chiuso il 2022 con un’inflazione ben oltre le due cifre.
Ovviamente la riduzione dei prezzi medi al consumo ha influenzato in modo insostenibile la redditività di produttori e distributori in un momento in cui entrambi sono schiacciati da incrementi a due cifre dei costi di produzione e distribuzione. Va detto che la riduzione dell’euro per kg è un fenomeno che contraddistingue oramai da diversi anni il sistema dei fresh cut a livello nazionale, ora però che è accompagnato da un incremento consistente dei costi sta già provocando un effetto deflagrante sul sistema.
Come mai produttori e distributori non riescono a riversare al consumo i rincari che subiscono lungo la filiera? Mentre il latte si avvia a superare i due euro al litro, come mai la IV gamma si avvia a scendere sotto i sette euro il kg? Le ragioni sono profonde e strutturali e ciò rende la situazione di difficile soluzione senza un intervento esterno.

Per provare anche a individuare qualche priorità nella genesi di questa anomalia, possiamo dire che:


1. il “peccato originale” può essere individuato nella capacità produttiva insoddisfatta dall’attuale domanda che contraddistingue il sistema delle imprese industriali impegnate nel settore. Parliamo di oltre sessanta aziende che non riescono a trovare sbocco per oltre il 30% delle loro potenzialità. Questo determina una continua ricerca di fatturato aggiuntivo con un’enorme pressione sulla domanda che consente, però, a chi riesce a ottenere nuove quote, di redistribuire meglio i costi fissi e, quindi, di migliorare il risultato economico, spesso anche con prezzi decrescenti. L’origine di questo peccato, scusate il gioco di parole, discende dal miraggio di facili guadagni che ha portato in passato tante aziende a entrare nel business senza adeguata analisi e preparazione, oltre a previsione eccessivamente ottimistiche sulla crescita elaborate dalle aziende già presenti. Tutto questo ha portato ad avere una capacità produttiva in grande eccesso rispetto a una domanda che – a parte il periodo della pandemia - cresce ma a ritmi insufficienti.


2. Il secondo elemento da considerare è la spietata concorrenza orizzontale che domina lo scenario distributivo nazionale. Questa dipende in primis dall’eccesso di superficie di vendita rispetto alla capacità della domanda attuale di generarle remunerazione; poi, va considerato l'effetto dell’evoluzione del format discount in quello che abbiamo definito “supermercato essenziale”; vale a dire l’alternativa – almeno in termine di percezione – al classico supermercato di vicinato con assortimenti più “asciutti” ma che sono in grado di coprire la maggior parte delle sfumature della domanda con prezzi più convenienti. Di fronte a questo scenario i supermercati tradizionali sono più che mai interessati a ricercare le migliori condizioni di acquisto al fine di essere più competitivi in vendita, anche se questo non basta a compensare la concorrenza dei nuovi supermercati essenziali che, anche grazie ad assortimenti ridotti, godono di costi di gestione non comparabili.


3. Infine, a complicare il quadro, la preponderanza della marca privata nell’assortimento amplifica ulteriormente la concorrenza orizzontale fra gruppi distributivi che, con pochi prodotti comuni su cui potersi confrontare, sono posti in concorrenza su tutto l’assortimento da parte di clienti. Senza una vera marca leader o una segmentazione della marca privata verso l’alto, il mercato è trascinato verso il basso poiché ognuno dei competitori della distribuzione vuole dimostrare che la sua proposta commerciale è la più conveniente; senza leadership, però, la convenienza si fa con il prezzo.

Con questi fondamentali la filiera ha poche speranze di riequilibrarsi autonomamente senza grandi e dolorosi cambiamenti strutturali. L’unica opzione è un intervento esterno che porti nuovi elementi di riferimento nella filiera. 


1. In questo ambito l’analisi dei costi di produzione della materia prima e quelli successivi di selezione, condizionamento e confezionamento, visto che si tratta di prodotti a peso imposto che si originano in imprese agricole e industriali ben strutturate, può essere un primo piano di confronto fra le imprese dei diversi anelli della filiera come elemento di riferimento nelle trattative commerciali. 


2. Parimenti, proprio perché di tratta solo di prodotti confezionati, la diversificazione dei formati delle buste in vendita fra supermercati tradizionali e nuovi supermercati essenziali, già ampiamente operata dall’industria di marca del largo consumo, potrebbe essere un ulteriore elemento per calmierare la pressione sui prezzi, limitando la concorrenza orizzontale almeno fra formati distributivi.


3. Infine, ma in questo caso non in ordine di importanza, maggiore segmentazione nelle politiche di marca potrebbe portare benefici al sistema. In primo luogo, si potrebbe lasciare più spazio e anche favorire lo sviluppo della marca del produttore e, altrettanto, si potrebbe operare sulla marca del distributore. Quest’ultima, infatti, ha subito un’ampia diversificazione su gran parte dell’alimentare fra le declinazioni top di gamma, quelle legate ai territori, fino alle produzioni sostenibili che non hanno però ancora trovato adeguato sviluppo in IV gamma malgrado sia la categoria merceologica dove la marca commerciale ha la quota più importante.