Le api, tutt’altro che estinte. Sono troppe, a rischio gli altri pronubi

Raggiunto il record di api mellifere a livello mondiale, mentre quelle selvatiche sono in pericolo

Le api, tutt’altro che estinte. Sono troppe, a rischio gli altri pronubi

Le api, soprattutto quelle che producono miele, sono troppe, tanto da mettere in pericolo l’esistenza degli altri insetti pronubi, in primis le cugine selvatiche. Può sembrare una boutade, ma l’articolo del New York Times, uscito alcune settimane fa, descrive un quadro decisamente diverso rispetto alla narrazione alla quale siamo abituati, ovvero, che l'Apis mellifera sia a rischio d'estinzione.

I numeri parlano chiaro: in un decennio gli alveari in tutto il mondo sono aumentati del 25%, passando da 81,4 milioni a 101,6 milioni, come riportano i dati dell’Organizzazione dell’Onu per l'alimentazione e l'agricoltura. Difatti: “Ora ci sono più api mellifere sul pianeta di quante ce ne siano mai state nella storia" afferma Scott Hoffman Black, direttore esecutivo della Xerces Society for Invertebrate Conservation a Portland nell’Oregon. 
A questo punto viene da chiedersi perché tutt’ora nei mass media nazionali non manchino spot promossi da associazioni ambientaliste – a partire da Greenpeace (clicca qui per approfondire) - che spronano alla salvaguarda delle api a serio rischio di estinzione per colpa dei pesticidi utilizzati dall’agricoltura. 

Il punto è che il tema è trattato con troppa superficialità. Riavvolgendo il nastro, effettivamente a metà anni 2000 ci fu un effettivo spopolamento delle arnie a livello mondiale a causa della cosiddetta “sindrome dello spopolamento degli alveari” che provoca il collasso alquanto rapido della colonia. Le cause della sindrome non sono tutt’ora ben comprese e nel corso degli anni sono state avanzate diverse teorie: cambiamento climatico, utilizzo pesticidi, virus e funghi parassiti o la somma di essi.  

Oltre agli studi scientifici sono nate una lunga serie di iniziative di sensibilizzazione dell’opinione pubblica, il cui successo è sotto gli occhi di tutti visto e considerato che l’ape è oramai a tutti gli effetti il simbolo della tutela dell’ambiente. Così, a partire dagli anni 2010, non solo si sono moltiplicati gli apicoltori professionali ma è cresciuto a dismisura l’interesse per la costruzione di arnie sui tetti e le terrazze di edifici commerciali negli Stati Uniti e in Europa, tant’è che, come riporta il Post, secondo un rapporto del 2020 del Royal Botanic Kew Gardens, l’istituto di ricerca del più grande giardino botanico di Londra, il foraggiamento delle moltissime colonie di api presenti in città rischia di soppiantare altre specie di api. È proprio questo il tema cruciale: le api (ed i pronubi in generale) selvatici sono effettivamente in pericolo a differenza dell’Apis mellifera la cui sovrappopolazione, al contrario, mette in pericolo le altre specie di insetti pronubi.

Una criticità che era stata sollevata anche dal professor Francesco Nazzi, ordinario di entomologia all’università di Udine (in foto sopra), durante il convegno di due anni fa organizzato da Apot dal titolo "Api, Agricoltura e Ambiente” (clicca qui per approfondire): “Nel nostro Pianeta sono presenti circa 20 mila specie di api, il doppio di tutte le specie di uccelli e, solo in Italia, ne vivono circa 1.000. Occorre prestare particolare attenzione soprattutto alle api selvatiche, che sono molto più delicate di quella domestica. Infatti, quest’ultima vive in popolazioni di oltre 50 mila individui a differenza delle poche centinaia tipiche degli apoidei selvatici. 

Questo garantisce all’Apis mellifera una maggior resistenza a qualsiasi tipologia di stress, a differenze dei cugini selvatici che sono molto più sensibili agli effetti dell’inquinamento, dell’applicazione di agrofarmaci e, soprattutto, al cambiamento climatico, che sta provocando una disincronia fra il ciclo delle piante e quelli dei pronubi”. È evidente, quindi, come il tema sia complesso e non possa essere certamente risolto affittando arnie da mettere sui tetti degli hotel o colpevolizzando gli agricoltori, presunti avvelenatori dell’ambiente. Se non si cambia approccio il numero degli insetti pronubi non potrà che diminuire senza sosta, con tutti gli effetti – nefasti – che ne conseguono.