L’ortofrutta sfusa è davvero più sostenibile?

Un’analisi sulle differenze inventariali per pesche e albicocche

L’ortofrutta sfusa è davvero più sostenibile?

Un minor uso delle confezioni corrisponde a una maggior sostenibilità ambientale? Una risposta  positiva al quesito pare essere alla base di diverse decisioni di politica economica adottate di recente da alcuni nostri partner europei – Francia e Spagna in testa – che, con provvedimenti legislativi, hanno incentivato la vendita di ortofrutta sfusa, riducendo le possibilità di confezionamento, al fine di ridurre così gli imballaggi, ritenuti dannosi per il pianeta. A prima vista la correlazione può infatti apparire ragionevole: elimino gli imballaggi, che poi – nella migliore delle ipotesi - dovrei riciclare, con i relativi costi, o comunque immettere nell’ambiente confidando sulla loro biodegradabilità o compostabilità, perché - se così non fosse - dovrei sobbarcarmi anche i costi di ripristino. Quindi, con il prodotto confezionato aggiungo i costi della confezione e del confezionamento a cui, nella maggior parte dei casi, devo sommare anche quelli del riciclo o del ripristino dell’inquinamento ambientale prodotto. Dunque più costi e più rischio d’inquinamento.
Questo deve essere il risultato a cui sono giunti gli estensori dei provvedimenti prima richiamati, grazie ad un esame sommario della questione. Siamo però sicuri che il problema sia tutto qui?
In realtà, il fenomeno è molto più complesso e va analizzato con riguardo all’intero ciclo di vita di merci e materiali, tanto che l’Unione Europea, come abbiamo scritto pochi giorni fa (clicca qui per approfondire), sembra non essere d’accordo con le scelte operate e ha bloccato la legge francese antispreco, chiedendo una proroga per la sua entrata in vigore, al fine di verificarne meglio gli effetti. 
Anticipando gli approfondimenti della Ue, abbiamo fatto anche noi un piccolo test su ciò che accade nei banchi dei supermercati vendendo prodotto sfuso e confezionato. L’analisi di confronto è stata condotta sulle differenze inventariali registrate per prodotti sfusi e confezionati di due importanti famiglie all’interno di una catena della Gdo nazionale per il 2022. 

Premettiamo che l’analisi ha rilievo solo per la realtà esaminata e per i prodotti oggetto di rilievo, per cui non può essere utilizzata per esprimere alcuna valutazione di merito sul comparto nel complesso ma, semmai, può servire per esaminare i diversi aspetti della problematica e indirizzare la metodologia necessaria ad un approfondimento di merito e non di bandiera sul tema.
Per pesche e albicocche, le due famiglie esaminate nelle condizioni operative specifiche, la riduzione delle confezioni a vantaggio dello sfuso non parrebbe in grado di generare una più elevata sostenibilità. I prodotti sfusi, infatti, vengono maggiormente danneggiati sui banchi durante la scelta e, così, una parte diventa non più idonea alla vendita, per cui - a fine giornata - viene gettata, producendo rifiuti e generando uno spreco. L’entità delle differenze inventariali percentuali rilevate a negozio fra confezionato e sfuso, più basse nel confezionato di 11 punti per le pesche (10% contro 21%) e di 9 per le albicocche (4% contro 13%) determinano un aumento del prodotto gettato nel caso delle sfuso. L’effetto più importante è che si genera uno scarto che difficilmente riesce a essere riutilizzato per cui diviene uno spreco di cibo che non completa il suo percorso dal campo alla tavola.
Al di là del costo di smaltimento di questo rifiuto organico, l’elemento chiave è che viene perso valore. Se il prezzo medio del prodotto sfuso è di 2,70 euro/kg per le pesche e di 3,80 euro/kg per le albicocche, significa che confezionarle porterebbe ad un risparmio di circa 30 centesimi al kg per le pesche e di circa 35 centesimi per le albicocche come minor gettato, che risulta assolutamente comparabile con i costi di confezionamento per kg di prodotto in vaschette o cestini, anzi leggermente superiore se si impiegano i materiali meno costosi, pur garantendo la perfetta riciclabilità degli imballaggi utilizzati.
Pertanto, almeno in questi due casi, la prima analisi di massima ci dice che confezionare non peggiora l’impatto ambientale se i materiali sono riciclabili e provengono da fonti rinnovabili o sono loro stessi riciclati. Sul fronte economico, poi, l’operazione confezionamento è neutra o appena positiva, mentre sul fronte etico – il terzo asse della sostenibilità – il confezionamento risulta vincente evitando spreco di cibo.
Come avrete notato non abbiamo volutamente parlato di materiali di confezionamento, perché questo è l’altro grande capitolo dove occorrerebbe un approccio scientifico e pragmatico sganciato dalle ideologie e dalle mode del momento. Di questo, però, parleremo la prossima volta.