Spinaci, mesi orribili: ecco perché

Benvenuti e Cappuccio (San Lidano) spiegano le problematiche del settore

Spinaci, mesi orribili: ecco perché

Quella invernale è la loro stagione di punta, eppure gli spinaci di quarta gamma stanno vivendo quest’anno una situazione difficile. In primis manca il prodotto e le cause sono da ricercare in problematiche prima di tutto produttive ma anche derivate dal contesto economico che sta vivendo il settore ortofrutticolo in generale ed in particolare quello della quarta gamma. 
Ne abbiamo parlato con Giulio Benvenuti e Paolo Cappuccio, rispettivamente responsabili Qualità e Ricerca & Sviluppo per l’azienda San Lidano

Il calo della produzione è evidente: Benvenuti ci parla di una riduzione delle rese del 20% per il periodo invernale e del 10% per il periodo estivo dello scorso anno, per un totale pari al 30% di prodotto in meno tra serra e campo aperto. Facendo luce sulla situazione emergono diversi problemi: in primis quello climatico e tutti i disagi ad esso collegati, l’inflazione sui costi di produzione e la conseguente scarsa redditività per i produttori, che tendono ad abbandonare il settore, senza dimenticare l’assenza di una ricerca varietale adeguata. Ma andiamo con ordine.
“Il problema climatico è la causa più diretta della situazione che stiamo vivendo – spiega Benvenuti a IFN – e deriva essenzialmente dal cambiamento climatico incontrovertibile che stiamo vivendo. I continui sbalzi termici, dai periodi molto caldi a siccitosi fino ai mesi invernali piovosi, rendono problematica la produzione. Senza contare tutti quei fenomeni atmosferici improvvisi come trombe d’aria, grandine, gelate etc.” E continua: “Le piogge e il vento, per esempio, non influiscono solo sulle strutture delle serre, danneggiandole, ma anche sulla stessa gestione agronomica, facendo saltare interi cicli di semine e trapianti. Inoltre, si sviluppano sempre di più danni dovuti a problemi fitosanitari”.
Il cambiamento climatico insiste anche sulla differenziazione varietale ad oggi disponibile: “Se prima venivano prodotte varietà per determinati climi, oggi gli stessi semi non sono più resistenti e il parco varietale va completamente rinnovato e adattato alle condizioni attuali. Ma in Italia siamo praticamente fermi. Sarebbe importante una maggior attenzione delle case sementiere e dei centri di ricerca, oltre all’industria agrochimica, che invece, per ragioni economiche, è sempre meno interessata ad investire nel settore orticolo, preferendo orientarsi verso colture più diffuse a livello globale”.

I problemi non sono solo in campo: secondo Benvenuti sta infatti calando il numero dei produttori agricoli che non vengono sostituiti a sufficienza dalle nuove generazioni. “Questo per noi significa in prospettiva una preoccupante perdita di know-how e di produzione orticola” dice.
Ad influire sul contesto produttivo è anche il forte aumento dei costi, che sta rendendo diseconomiche alcune colture: “Alcune grandi aziende si stanno orientando verso colture più redditizie e che hanno mercati più remunerativi. Il mercato incide in maniera diretta sulla reddittività delle colture – specifica Benvenuti – e oggi, a fronte di un aumento dei costi di produzione, i prezzi di vendita non sono cresciuti altrettanto. L'anomala preponderanza della marca privata nell'assortimento della IV gamma, che ha ridotto la possibilità di segmentare l'offerta e ha aumentato la concorrenza fra supermercati, ha portato molti prodotti a diventare commodity (esemplare il caso dello spinacio, o della rucola, oramai assenti nello scaffale della I gamma), dove quello che conta è solo il prezzo, perché i distributori devono dimostrare di essere più competitivi della concorrenza, per cui viene eroso sempre di più il margine dei produttori".

E continua: "Una situazione a cui hanno contribuito i produttori ‘cullati’ dai risultati positivi del settore negli ultimi 10-15 anni, ma anche la scarsa industrializzazione dei processi”. E conclude: “Come al solito quello che manca al settore è una visione di lungo periodo: il prodotto disponibile sarà sempre meno e si rischia di  navigare a vista, mentre quello che servirebbe veramente sarebbe un tavolo interprofessionale, per analizzare tutti insieme la filiera, e puntare sulle tecnologie: l’unico modo per invertire la tendenza e ridare valore al prodotto nel prossimo futuro”.

Ma andiamo ad indagare la crisi dello spinacio dal punto di vista tecnico con l'aiuto dell’agronomo di San Lidano, Paolo Cappuccio. “Programmazione e strategia sono gli unici fattori che possono determinare la crescita in futuro dello spinacio di quarta gamma” ha spiegato a IFN. 
E ribadisce quanto già messo in evidenza dal collega: “La gestione agronomica dello spinacio è complessa, e basta poco per alterare profondamente i risultati colturali, soprattutto nelle semine invernali: a causa del clima, le produzioni sotto serra incontrano sempre più difficoltà e spesso tocca riseminare, ma la resa per ettaro non sarà mai ai livelli di quella ottenuta con una semina nei tempi corretti. Le nuove semine non riescono a competere con le produzioni a campo aperto e vengono abbandonate. Inoltre, il prodotto in coltura protetta ha incontrato sempre più problemi di carattere fitosanitario, considerato anche l’incremento di danni da peronospora e marciumi radicali, oltre agli attacchi di afidi e nottue fino ad autunno inoltrato".

E’ fondamentale inoltre scindere il prodotto di qualità per la quarta gamma da quello per l’industria: “Il nostro prodotto non sarà mai uguale a quello per l’industria, servono quindi scelte agronomiche di qualità superiore: un problema da porre prima di tutto negli obiettivi di miglioramento genetico” dice.

Infine, anche Cappuccio pone l’accento sui trend economici: “Quest’anno sono aumentati anche i costi di produzione e le coltivazioni non sono redditizie – conclude – non credo che in futuro caleranno molto le superfici dedicate, ma è necessario trovare urgentemente una strada, anche in collaborazione con le ditte sementiere, per valorizzare questi prodotti alla vendita e aumentare i margini per tutta la filiera”.