Pomodoro made in Cina, la precisazione di Anicav

«Come associazione siamo impegnati nella massima trasparenza»

Pomodoro made in Cina, la precisazione di Anicav

In merito all'articolo sulle importazioni di pomodoro cinese in Italia (approfondisci qui), l'associazione Anicav esprime delle considerazioni salienti, chiarendo dei punti importanti per la filiera. Riportiamo di seguito la nota.

Come ANICAV - l’associazione di Confindustria che rappresenta le aziende private italiane di trasformazione del pomodoro - ci sembra doveroso fare alcune importanti precisazioni in merito ad alcuni messaggi veicolati che riteniamo fuorvianti e lesivi della reputazione di un settore che rappresenta una delle eccellenze dell’agroalimentare italiano nel mondo sia in termini di fatturato che di quantità prodotte e riveste un importante ruolo strategico e di traino dell’economia nazionale. 
Vi preghiamo di scusarci se ci dilungheremo, ma certi temi hanno bisogno di essere approfonditi con attenzione per comprenderne a fondo le dinamiche. L’articolo si apre con questo passaggio: “Difficile da credere ma in Italia, ogni anno, arriva una valanga di pomodoro cinese…Questa regione (Xinjiang) ha esportato nei primi mesi del 2022 oltre 290.000 tonnellate di concentrato di pomodoro e quasi il 20% del prodotto è stato assorbito dal  nostro Paese…” 
La prima obiezione riguarda proprio la “valanga” di prodotto che arriva in Italia. Nel primo semestre del 2022, secondo i dati Istat, l’importazione di concentrato dalla Cina è calata di circa il 38%. In termini di volumi parliamo di circa 38.000 tonnellate, ben inferiori alla quantità indicata nell’articolo. 

Pur volendo superare la questione dei “numeri”, comunque irrisori rispetto alle quantità di pomodoro trasformato in Italia (5,5 milioni di tonnellate di prodotto quest’anno e 6 milioni nel 2021), è importante fare chiarezza su un tema delicato. 
L’Italia importa concentrato di pomodoro da diversi mercati quali la Cina, gli USA, la Spagna e il Portogallo e le importazioni dai due maggiori Paesi produttori, Cina e USA (California), variano in base alle oscillazioni dei tassi di cambio e delle produzioni/sovrapproduzioni interne, per cui, avendo la Cina, quest’anno, incrementato le sue produzioni, è facile prevedere che si registrerà un incremento delle importazioni da questo Paese.

È doveroso precisare che circa il 90% delle importazioni di concentrato di pomodoro da paesi extracomunitari, e quindi anche dalla Cina, avviene in regime di TPA (traffico di perfezionamento attivo) o temporanea importazione (per identità e non per equivalenza: concentrato cinese per concentrato cinese, concentrato californiano per concentrato californiano, ecc.): il concentrato entra temporaneamente nel territorio nazionale a scopo di perfezionamento (lavorazione, trasformazione o riparazione) per poi essere riesportato verso paesi extra comunitari, prevalentemente nord e west Africa e medio Oriente dove il consumo di questo derivato è molto diffuso. Tutto il percorso è documentato ed è sottoposto a controlli da parte della Guardia di Finanza, delle Dogane e delle autorità sanitarie. Il concentrato importato e rilavorato viene, poi, esportato con la dicitura in etichetta “confezionato in Italia” e non “prodotto in Italia”, pur in presenza di una trasformazione sostanziale che permetterebbe tale indicazione Il pomodoro coltivato in Italia è, per la sua elevata qualità, destinato alle produzioni di maggiore “pregio” (pelati interi, passata, pomodorini…) che l’Industria conserviera, con grandi difficoltà, cerca di vendere a condizioni sufficientemente utili a coprire il costo della materia prima che resta il più alto al mondo. Il consumo italiano di concentrato di pomodoro è pari a poco più dell’1% del mercato dei derivati del pomodoro. Pertanto, la produzione e la rilavorazione di tale derivato è destinata essenzialmente al mercato estero. Le importazioni di concentrato non rappresentano un problema particolarmente rilevante per il nostro sistema agricolo e industriale in quanto la concorrenza avviene su livelli diversi. 

In primis esportiamo molto più prodotto di quello che produciamo. Inoltre la riduzione delle importazioni non porterebbe, come si potrebbe immaginare, ad un aumento degli ettari messi a coltura in quanto non saremmo in condizione di produrre tutto il pomodoro fresco necessario per il concentrato e si preferisce destinare gli ettari a disposizione a produzioni di maggiore qualità, come ad esempio quella dei pomodori destinati alla produzione di pelati, prodotto caratteristico e di pregio delle nostre aziende. Sul piano dei costi non siamo competitivi: produrre concentrato da pomodoro fresco italiano ha costi molto elevati, per cui il prodotto finito dovrebbe essere venduto ad un prezzo che la maggior parte dei mercati di destinazione non potrebbe sostenere. Nel caso non si rilavorasse il concentrato, infine, non ne guadagnerebbe la filiera italiana in quanto i nostri principali competitors a livello europeo (Spagna e Portogallo) hanno costi inferiori sia sulla materia prima che sul trasporto, per cui l’unica conseguenza sarebbe la fuoriuscita delle aziende italiane dai mercati a vantaggio dei paesi concorrenti, in primo luogo la Cina stessa, con la conseguente perdita dell’occupazione (oltre l’occupazione diretta va considerata quella dell’indotto) e di risorse economiche che questa produzione riesce a dare per la destagionalizzazione. 
È, inoltre, assolutamente necessario ribadire un concetto fondamentale. 
Pelati, passate, polpe e pomodorini che troviamo sugli scaffali dei nostri supermercati sono ottenuti da materia prima di alta qualità 100% italiana e non hanno nulla a che fare con il semilavorato importato, rilavorato e, come già detto, esportato. Affermare che: “…Il pomodoro cinese arriva in Italia sottoforma di concentrato in fusti e viene, successivamente, ritrasformato e per magia l’origine della materia prima viene avvolta dal mistero. Dunque, per i consumatori è impossibile risalire all’origine esatta della merce. La mancanza di trasparenza è diventata un problema, molte aziende importatrici assicurano che viene lavorato e destinato all’esportazione ma i fatti e le diverse indagini appurano che succede anche altro…” è del tutto fuorviante e non fa altro che generare confusione nei consumatori. Che si parli di pomodoro cinese relativamente ai prodotti che troviamo a scaffale in Italia, come pelati, polpa e pomodorini, è un assurdo. Dal concentrato, sia esso importato o prodotto in Italia, che ha una caratteristica di liquido, non si possono ottenere prodotti solidi, come il pelato, la polpa o i pomodorini: sarebbe come pretendere di ricavare da una bottiglia di vino cinquanta o più grappoli d’uva. Inoltre, le modalità di confezionamento di tali derivati richiedono tempi di lavorazione (massimo 24/36h dalla raccolta) incompatibili con quelli che sarebbero necessari a importare la materia prima dalla Cina e, inoltre, essi non contengono alcun tipo di concentrato, cinese, californiano o italiano che sia neppure nel liquido di governo, che è ottenuto dalla materia prima fresca che viene scartata all’atto della cernita. Sarebbe, infatti, fortemente antieconomico rilavorare il triplo concentrato proveniente dalla Cina o da altro Paese per poterlo utilizzare come liquido di governo. Inoltre, non esiste alcun “mistero” relativo all’origine della materia prima utilizzata. Le regolamentazioni* sono chiare e stringenti come in nessun altro paese al mondo. Si evidenzia che dal 2006 in Italia per la passata è previsto l’obbligo di indicazione dell’origine della materia prima in etichetta oltre a quello di utilizzare la denominazione Passata di pomodoro solo per il prodotto ottenuto da pomodoro fresco (e non da concentrato annacquato). 

In merito agli episodi di cronaca cui fa riferimento l’articolo e che hanno riguardato aziende del nostro comparto relativamente a presunti illeciti messi in atto, ribadiamo, ancora una volta, che si tratta di fatti che comportano responsabilità individuali che non vanno fatte ricadere sull’intero settore. Tra l’altro nessuno dei casi è relativo all’utilizzo di concentrato cinese, come facilmente rilevabile dagli organi di stampa. 
In ogni caso, proprio per fugare ogni dubbio ed arginare polemiche e inutili allarmismi, come Associazione siamo da sempre impegnati a favore della massima trasparenza a tutela della salute dei consumatori, così come testimoniato nel corso degli anni anche dalle posizioni assunte a sostegno dell’introduzione dell’etichettatura di origine obbligatoria per tutti i derivati del pomodoro e dal lavoro che stiamo portando avanti, in sinergia con la Stazione Sperimentale delle Conserve Alimentari e con il coordinamento e la guida dell’ICQRF (l’Ispettorato centrale della tutela della qualità e della repressione frodi dei prodotti agroalimentari del Ministero dell’Agricoltura) per la caratterizzazione dei macro e micro elementi minerali presenti nel pomodoro finalizzato all’identificazione della zona d’origine dei derivati che, una volta implementato, potrà rappresentare un fondamentale strumento a difesa delle nostre produzioni e a tutela del consumatore finale. 
Pertanto riteniamo di fondamentale importanza che argomenti di così grande impatto economico e mediatico vengano affrontati in maniera responsabile, senza generalizzazioni che tendono ad alimentare una cultura del sospetto irreversibilmente dannosa per un intero settore e per i consumatori. Rimanendo a disposizione per qualsiasi ulteriore chiarimento, saluto con viva cordialità.

Fonte: Anicav