Attualità
Agricoltori penalizzati: la Pac dimentica chi lavora la terra
Occorre redistribuire meglio le risorse per sostenere chi produce per il mercato

Pubblichiamo la considerazione che ci è giunta da un affezionato lettore, Giuseppe Corrado, produttore di Nova Siri (Matera) che è intervenuto in merito alla Pac.
"Tagli PAC sì, Tagli PAC no: è il tormentone del 2025. Si profilano grossi tagli circa del 20% e, guarda caso, sono diretti sempre all’anello debole della catena, cioè l’agricoltore. A prescindere che debbano essere respinti con forza, a mio avviso, i fondi che attualmente l'UE elargisce dovrebbero essere redistribuiti e riequilibrati in maniera mirata verso chi produce per il mercato e svolge l'attività agricola come fonte di reddito per la propria famiglia.
Una prima operazione di selezione mirata dei beneficiari dovrebbe partire dai vari attori a monte dell’agricoltore, ad iniziare dalle OP, che percepiscono lauti contributi quando un agricoltore fa gli investimenti (attraverso i programmi operativi della cosiddetta OCM). L’OP di riferimento prende il 50% netto sulla somma a lui spettante; con il restante 50%, l'agricoltore, deve occuparsi di pagare, per esempio: un ingegnere o un tecnico per il progetto dell'opificio, un commercialista che prepari il business plan, ossia lo studio di fattibilità economica necessario per accedere ai fondi pubblici e affrontare altre spese generali.
Quando si considerano l’insieme di tali spese, all’agricoltore che vuole realizzare un opificio, resta un 25/30%, se va bene.
Bisogna pensare che, se potesse rivolgersi liberamente a un professionista, pagherebbe una parcella che non arriverebbe nemmeno al 10% (IVA compresa). In quel caso all’agricoltore resterebbe circa il 40% del contributo netto.
Perché non si modificano queste norme? Perché non si trova una via diretta ed immediata per veicolare fondi a favore dell’agricoltore?
Spero che gli ordini professionali portino avanti una campagna, analoga a quella realizzata quando AGEA ha tolto i fascicoli aziendali per darli solo ai CAA, per favorire uno snellimento delle procedure per la concessione dei contributi agli investimenti a favore delle imprese.
Altra norma da rivedere sono i contributi dello Sviluppo Rurale (FEASR - Fondo Europeo Agricolo per lo Sviluppo Rurale). Si tratta di uno strumento finanziario dell'Unione Europea che promuove lo sviluppo delle aree rurali, sostenendo la competitività del settore agricolo e forestale, la gestione delle risorse naturali e la diversificazione dell'economia rurale.
Attraverso i suoi programmi, cofinanziati anche dai bilanci nazionali, il FEASR mira a migliorare la qualità della vita nelle zone rurali con aiuti agli investimenti e strumenti finanziari. Come principio è giusto, ma, nei fatti, una parte delle risorse vanno a favore dei soggetti non agricoli e non raggiungono le imprese.
Ci sono troppi beneficiari non agricoli, a cominciare dai GAL fino ad arrivare dai comuni e ad altri enti pubblici e privati.
In alcuni casi i fondi vengono spesi con dubbia efficacia, come nel caso delle sagre e dei convegni: operazioni che spesso non hanno nulla a che vedere con le attitudini e le aspirazioni di un'azienda agricola e mortificano il lavoro e le aspettative degli imprenditori agricoli.
Forse qualcuno non sa che rabbia prova un agricoltore vedere i soldi a lui destinati venire spesi male.
E oggi si aggiungerebbe anche la beffa: un taglio della PAC del 20% e, dal 2032, l’esclusione dei pensionati dai pagamenti diretti. Tutto questo mentre l’INPS continua a pretendere i contributi personali dagli agricoltori attivi anche se già pensionati. Più paradosso di così non c'è." (lg)



















