Dalla distribuzione
Sicilia, ortofrutta da primato… ma senza regia
Frammentazione, logistica al palo e poca innovazione: buyer italiani e internazionali chiedono una svolta

La Sicilia si conferma regina dell’ortofrutta italiana: un paniere di prodotti unico al mondo, capace di conquistare mercati e palati. Ma, dietro l’abbondanza e la qualità, emergono nodi che frenano la corsa verso un futuro davvero brillante.
Il primo ostacolo? La frammentazione produttiva, da cui a cascata nascono altre criticità: difficoltà nel garantire continuità di forniture, scarsa capacità d’innovazione, strategie di marketing poco incisive. A tutto ciò si aggiungono limiti strutturali, con la logistica in testa, che certo non aiutano a fare il salto di qualità.
E a sottolinearlo non sono solo analisti o ricercatori: a lanciare l’allarme sono buyer italiani e internazionali, che ogni giorno si misurano con queste dinamiche sul campo. Un segnale forte, che invita a riflettere.
Questi i temi caldi emersi a Catania, nel workshop che ha fatto da cornice alla presentazione della 43ª edizione di Macfrut. L’isola sarà infatti Regione Partner della prossima edizione della fiera, occasione perfetta per mettere sotto i riflettori punti di forza e debolezze della filiera ortofrutticola siciliana, con uno sguardo sia al mercato interno sia all’export.
I primati certificati
A confermare la centralità dell’isola ci ha pensato Mario Schiano Lo Morriello di ISMEA, che ha messo in fila numeri e primati da record. Nel 2024 la Sicilia ha contato 264 mila ettari coltivati a ortofrutta, pari al 20% delle superfici nazionali: nessuno fa meglio. L’isola è anche prima per ettari destinati al biologico, prima per valore e ai vertici assoluti per Dop e Igp.
Un paniere ricchissimo che intreccia produzioni tipiche, coltivazioni biologiche, frutti tropicali e primizie che inaugurano la campagna nazionale, senza dimenticare i prodotti tardivi che la chiudono. Una tavolozza di eccellenze che, come ha sottolineato lo stesso Schiano Lo Morriello, rappresenta “un mix di competenze e vocazioni non replicabile in nessun’altra regione italiana”.

La parola ai buyer
A questo punto la parola è passata ai buyer, che hanno snocciolato, con estrema franchezza, pregi e difetti della filiera siciliana.
Alfio Mancuso, Product Innovation Buyer e tecnico di settore ortofrutta del Gruppo Arena, ha sottolineato come la forza dell’isola stia nella capacità dei produttori di sviluppare colture uniche e irripetibili: “Ogni territorio ha caratteristiche difficilmente replicabili altrove, ed è questo il vero valore aggiunto della Sicilia”. Ma c’è anche spazio per crescere: “Una maggiore aggregazione tra i tanti piccoli produttori permetterebbe di sviluppare nuovi progetti, convogliare risorse e attrarre investimenti”.
Sulla stessa linea Germano Fabiani, responsabile ortofrutta di Coop Italia, che ha ricordato come la linea premium Fior Fiore conti ben 12 referenze siciliane, dalle arance ai pomodori, fino ai capperi delle Eolie. “Di queste, sette hanno una denominazione geografica protetta. La Sicilia è fatta di tanti ‘numeri uno’, ma serve coesione e un’organizzazione più moderna delle filiere, specializzandosi per vocazione e ampliando gli sbocchi di mercato. La qualità c’è, ora bisogna organizzarla”.

Domenico Lo Re, Lead Quality Agronomist di Eurogroup Italia (che acquista per Rewe Germania e Austria), ha lanciato un appello diretto alla produzione: “La Sicilia per noi è fondamentale, dagli agrumi alle primizie, dal bio alle varietà tardive. Ma pesano i limiti infrastrutturali e i costi logistici. Abbiamo eccellenze iconiche come le arance rosse, ma serve più coraggio nell’innovazione varietale: troppa prudenza ci fa perdere i treni, spesso per anni. La costanza qualitativa è la base di tutto, e sono le aziende più strutturate che devono trainare il cambiamento. Senza redditività, però, rischiamo di perdere i giovani”.

Diversificazione e internazionalizzazione sono invece le leve indicate da Nicolò Sparacino di Biofruit: “Abbiamo aperto a Berlino punti vendita diretti per far conoscere il prodotto siciliano. La gente cerca Sicilia, spinta anche dalle esperienze turistiche e gastronomiche. Il futuro è collegare prodotto e territorio”.
Uno sguardo verso il Nord Europa arriva da Jan Giovanni Ghisalberti di Jaghi Trade: “La Sicilia è forte su carote, agrumi e uva, ma ha perso terreno sul pomodoro, dove Spagna e Marocco hanno guadagnato quote. Il punto critico è la continuità. In Scandinavia il biologico pesa fino al 60% delle vendite: qui i prodotti siciliani hanno grande appeal, mentre le certificazioni Igp non sono percepite”.
Infine, il Medio Oriente: Alessandro Simone, country manager di Lulu Group International, una delle più grandi realtà distributive della regione, ha evidenziato le potenzialità ma anche le urgenze: “Nel nostro mercato il 95% del prodotto è importato, quindi la Sicilia è cruciale. Però la frammentazione produttiva penalizza continuità e qualità. Servono varietà innovative e processi moderni: basti pensare alla conservazione dei broccoli, dove gli spagnoli, grazie a tecnologie avanzate, sono leader incontrastati. In Italia, purtroppo, arriviamo sempre troppo tardi”.

Fare sistema per fare la differenza
Dal confronto con i buyer è emersa un’immagine chiara: la Sicilia ha un potenziale straordinario, ma resta frenata dalla frammentazione. Tanti piccoli campioni locali, ognuno con eccellenze uniche, che però faticano a fare massa critica. Il risultato? Difficoltà a garantire continuità di prodotto, a programmare le forniture e a presentarsi compatti sui mercati internazionali.
La strada indicata è duplice: da un lato serve innovazione, varietale e di processo, per alzare l’asticella della qualità e mantenerla costante; dall’altro è indispensabile un approccio sistemico al marketing territoriale. Non basta avere un prodotto eccellente: bisogna saperlo raccontare, legarlo alla sua terra d’origine e valorizzarlo con strumenti adeguati – dal packaging accattivante alla formazione di chi lo porta al consumatore.
Per incidere davvero, occorre una regia comune. I singoli produttori, da soli, non possono reggere la sfida globale. Solo una strategia organica e condivisa può trasformare la Sicilia in un marchio territoriale forte, capace di unire tipicità, innovazione e storytelling.
La conclusione, condivisa da tutti, è lampante: qualità, continuità e prezzo giusto restano i pilastri su cui costruire il futuro. Perché il prodotto può anche essere straordinario, ma senza un racconto corale e una visione comune, rischia di restare soltanto un’occasione mancata. (bf)
