Sdoganare i «pesticidi» per sviluppare i consumi

Parlarne ci aiuterà a farli riconoscere come fitofarmaci

Sdoganare i «pesticidi» per sviluppare i consumi

I dati sono chiari: gli italiani ritengono che la cosa più importante nella scelta di un prodotto ortofrutticolo sia l’assenza di pesticidi - riguarda il 96,5% del nostro campione di 3.000 responsabili acquisti del Monitor Ortofrutta - e batte ogni altro attributo, compresa la qualità gustativa, l’origine e, pure, il prezzo più conveniente, divenendo certo un fattore molto limitante nello sviluppo dei consumi se non si ha la percezione che questo requisito sia soddisfatto appieno.

Forse, anche per questo, la parola “pesticida” è aborrita nel settore e desta forte preoccupazione, tanto che - ogni volta che la uso in un’assise pubblica - qualcuno mi riprende chiedendomi di usare fitofarmaco, agrofarmaco, o, addirittura, presidio fitosanitario. Ribatto che è inutile nascondere la testa sotto la sabbia: i fitofarmaci non sono vissuti come “le medicine delle piante” dai consumatori, ma come fonte di non meglio precisati effetti negativi sulla loro salute; per cui non serve parlare forbito fra addetti ai lavori per cambiare la situazione, occorrerebbe modificarne il vissuto nell’opinione pubblica e, allora, probabilmente, potremmo cambiare anche il nome. Diversamente abile ha preso il posto di handicappato perché è cambiata la coscienza sulla condizione da parte delle persone, non perché abbiamo modificato i vocabolari.

Trattandosi di un’operazione ritenuta complessa e costosa, richiederebbe una filiera illuminata, determinata e coesa su un problema che è certamente precompetitivo ma, poiché mancano all’ortofrutta tutti e tre gli attributi, si preferisce evitarne il pensiero, proprio come i bambini che, mettendo le mani davanti agli occhi, pensano di non essere visti.
Personalmente, però, ho buone ragioni per credere che non sarebbe poi così complesso modificare la situazione e che, al netto delle volontà, il solo limite sarebbe il costo, comunque assolutamente alla portata di un comparto che vale alla produzione oltre 15 miliardi di euro. Dico questo perché sono i “fondamentali” la grande risorsa che abbiamo a disposizione. È davvero morto qualcuno perché ha mangiato frutta o verdura che conteneva pesticidi? Magari è successo a causa di contaminazioni da Coliformi, anche se non in Italia, almeno che io sappia, ma da molecole chimiche usate per la difesa delle piante direi proprio di no e paiono concordare con me il 33% degli italiani, oltre a un 57% che dice di non averne cognizione, mentre solo un 10% è convinto del contrario, come è emerso dall’ultima ricerca del Monitor Ortofrutta condotta per Think Fresh.

Saranno state le interferenze endocrine palesate per taluni agrofarmaci da qualche studioso d’assalto o la moria degli anfibi causata soprattutto dalle molecole di vecchia generazione, questo non lo so, ma è solo una minoranza degli italiani che ha certezze di effetti rilevanti dei fitofarmaci dell’ortofrutta per la salute dei consumatori, soprattutto perché consistenti evidenze non ve ne sono. La maggior parte dei connazionali è preoccupata dai pesticidi ma non ha certezze di danni collegati, anche perché i giornali fanno vedere irroratrici in azione e non stanze di ospedali colme di malati; sollecitati sul tema e, dovendo riflettere, i nostri panelisti fanno emergere un quadro molto meno preoccupante di quello che si potrebbe immaginare, per cui si potrebbe agire per invertire la tendenza anche solo con l’evidenza dei fatti. In fondo, cosa abbiamo da perdere, visto il sentiment di partenza? Che sia venuto il momento di parlare della cosa mettendo la testa fuori dalla sabbia per dare un’ulteriore stimolo all’inversione di tendenza dei consumi? A voi l’ardua sentenza.

Ha collaborato Giorgia Cifarelli