Attualità
Verona rilancia la qualità: Radicchio e Pesca IGP indicano la direzione
Esperienze diverse ma complementari che rivelano il potenziale delle produzioni tutelate

DOP e IGP possono davvero diventare il motore dell’ortofrutta? Guardando alle performance della Dop Economy, la risposta sembra positiva. L’ultimo Rapporto Qualivita evidenzia come il valore complessivo abbia raggiunto 20,7 miliardi di euro, in crescita rispetto ai 16 miliardi del 2020, grazie al lavoro di 328 consorzi di tutela. Un dato che conferma la natura strategica di questo comparto e segnala un trend di forte espansione, ricco di opportunità da cogliere.
Opportunità che due Indicazioni Geografiche venete — il Radicchio di Verona IGP e la Pesca di Verona IGP — stanno provando a trasformare in realtà. L’obiettivo è diffondere tra i produttori il valore della qualità legato alle certificazioni, per arrivare al consumatore con un prodotto d’eccellenza, elemento che fa davvero la differenza sul mercato.
Se n’è discusso venerdì sera a Villa Bertoldi, alle porte di Pescantina (Verona), durante un incontro dedicato. Leonardo Odorizzi, presidente del Consorzio della Pesca di Verona IGP, ha spiegato il senso dell’iniziativa: «Ho voluto creare un momento di riflessione per chiarire alcuni aspetti spesso sottovalutati. Commettiamo l’errore di non interiorizzare il valore di qualità e certificazione, inutile pensare di valorizzare un prodotto sul mercato se non si lavora seriamente sul concetto di qualità, e l’IGP da questo punto di vista è una certezza. Poi, da lì, si elaborano le strategie di comunicazione che nel nostro caso devono partire dal fatto che la pesca di Verona è tra i frutti più antichi d’Italia e d’Europa: parliamo di duemila anni di storia custodita da chi lavora la terra con passione».

«Il nostro impegno – ha aggiunto – è convincere i produttori a seguirci, ma anche coinvolgerne di nuovi. Siamo 18 soci e abbiamo appena compiuto un anno di attività, con una base composta in larga parte da giovani. Servono visione e prospettive: l’agricoltura va valorizzata e preservata, non solo dal punto di vista economico, ma anche per la tutela del territorio, soprattutto in un’area a forte vocazione turistica come la nostra. Fondamentale anche il ruolo della comunicazione e delle diverse destinazioni d’uso: la trasformazione può rappresentare un percorso di crescita per l’IGP, con un doppio vantaggio. Da un lato permette di valorizzare il prodotto di seconda scelta, dall’altro garantisce la presenza del marchio sugli scaffali per tutto l’anno, o comunque per un periodo più lungo».
A prendere la parola è stata anche Cristiana Furiani, presidente del Consorzio del Radicchio di Verona IGP, che ha ripercorso le tappe di un percorso lungo ma oggi ricco di risultati, frutto di un impegno costante. «Nel 2009 – ha ricordato – abbiamo ottenuto il riconoscimento IGP, nel 2010 è nato il Consorzio di tutela e nel 2011 è arrivato il riconoscimento ufficiale della funzione di tutela, fondamentale per valorizzare e far conoscere il nostro prodotto». Da quel momento è partita una serie di iniziative mirate: partecipazioni a fiere internazionali, eventi di ogni genere, attività rivolte sia al pubblico professionale sia ai consumatori, sostenute anche dalla visibilità di importanti trasmissioni televisive nazionali, che hanno permesso di raggiungere un pubblico che ancora non conosceva il radicchio veronese.

«Abbiamo organizzato anche diverse iniziative locali – ha spiegato Furiani – perché era importante dare voce ai produttori e, allo stesso tempo, far comprendere agli stessi produttori il valore della certificazione». Un lavoro paziente, fatto di showcooking e convegni mirati, per superare una percezione diffusa: quella della certificazione come “scocciatura”. «In realtà – ha sottolineato – è proprio l’IGP a garantire qualità e identità a un prodotto che merita di essere riconosciuto».
Nel 2019 è arrivata anche una puntata interamente dedicata su Linea Verde (Rai1), che ha dato ulteriore impulso alla notorietà del Radicchio di Verona. A questa si sono aggiunte collaborazioni con diverse catene distributive, decisive per veicolare il valore del prodotto sugli scaffali. «E più se ne parla – ha aggiunto – più la GDO comprende l’importanza della nostra eccellenza e la sostiene presso i consumatori». «L’obiettivo finale – ha concluso Furiani – è distinguersi sul mercato. E questo si può fare solo attraverso la certificazione, che resta lo strumento più efficace per valorizzare il lavoro dei produttori e portare al consumatore un prodotto davvero identitario».

Un lavoro che prosegue anche grazie al nuovo approccio delle giovani generazioni, come ha raccontato Sara Azzolini, rappresentante della nuova leva della famiglia Furiani. «Stiamo ottenendo grandi soddisfazioni sui social con la nostra birra al radicchio: per noi è un progetto di nicchia, ma rappresenta un modo efficace per far conoscere e valorizzare questo prodotto orticolo anche attraverso una bevanda, mantenendo allo stesso tempo il legame con l’IGP, spesso poco conosciuta dai più giovani».

Anche Camilla Turrina, per la Pesca di Verona IGP, ha ribadito il peso del concetto di qualità. «La qualità reale parte dal campo, dall’origine e dal terroir che caratterizza il prodotto. Poi ci sono gli aspetti misurabili, come il grado Brix, che vengono validati e garantiti dai disciplinari, che devono essere rigorosamente rispettati. Ma esiste anche una qualità “inconsapevole”, frutto del know-how dei produttori: grazie alla loro esperienza si genera spesso una qualità superiore. Infine c’è la qualità percepita dal consumatore al momento dell’acquisto, legata all’estetica. Questa deve però essere accompagnata dalla qualità reale, che l’IGP si impegna a garantire attraverso la certificazione».

A chiudere l’incontro è stato Nicola Conterno, responsabile tecnico per i prodotti vegetali e trasformati DOP, IGP e STG di CSQA, che si è collegato al tema della qualità raccontandone l’evoluzione e l’importanza dei sistemi di garanzia. «La certificazione – ha spiegato – è un processo attraverso il quale un’azienda dimostra di rispettare requisiti stabiliti a priori. Questo rappresenta una garanzia per chi acquista. In pratica, l’organismo di controllo verifica che il produttore operi secondo il disciplinare previsto dall’IGP». Un processo che, ha ricordato, necessita di imparzialità, competenza, indipendenza e correttezza. «E non va dimenticato – ha aggiunto – che anche l’ente certificatore è a sua volta certificato da un organismo esterno, Accredia. Nel sistema DOP e IGP tutti gli attori della filiera sono controllabili: operatori di mercato, produttori, consorzi di tutela e organismi di controllo. È quindi una filiera completamente tracciata e verificabile».

In un contesto agricolo che cambia rapidamente, le esperienze veronesi mostrano come qualità, identità e certificazione possano diventare leve strategiche per tutta l’ortofrutta italiana. Un percorso che richiede visione, impegno e capacità di innovare, ma che apre scenari concreti di crescita. (lg)



















