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Chi di spada ferisce di spada perisce: l’agricoltura USA ostaggio dei dazi
Produttori senza manodopera, frutta marcia nei campi e redditi agricoli in picchiata

Dopo l’accordo commerciale tra Stati Uniti ed Europa – giudicato da molti osservatori penalizzante per il Vecchio Continente – nuove ombre si addensano anche sull’agricoltura americana. Se i dazi vengono usati sempre più come arma di pressione geopolitica, il settore primario a stelle e strisce si trova oggi a fronteggiare un problema interno di portata altrettanto critica: la mancanza di manodopera.
Un approfondimento pubblicato da Linkiesta (“L’impatto delle retate anti-migranti di Trump sull’agricoltura americana”) raccoglie la voce di produttori ortofrutticoli californiani che denunciano come le politiche migratorie dell’amministrazione stiano prosciugando la forza lavoro nei campi. «È sparito il 70% dei nostri lavoratori», racconta una produttrice della Central Valley, l’area che da sola fornisce oltre il 30% della frutta e verdura venduta negli Stati Uniti.
Tra la fine di giugno e l’inizio di agosto, l’Immigration and Customs Enforcement (ICE) – definito spesso il “braccio armato di Trump” – ha condotto decine di retate direttamente all’interno delle aziende agricole. Centinaia di braccianti sono stati arrestati e molti rischiano ora l’espulsione verso Paesi terzi. Il risultato è un paradosso: campi pieni di frutta e verdura che marciscono al sole, mentre i produttori contano perdite milionarie e i supermercati rischiano scaffali vuoti.
L’esempio di un produttore dell’Oregon è emblematico: dodici ettari di frutta lasciati a decomporsi per mancanza di braccianti, con oltre 250 mila dollari di danni. Uno scenario destinato a ripetersi, soprattutto in California, dove sono in gioco 22 miliardi di dollari di esportazioni. Reuters riporta la testimonianza di un lavoratore messicano: in un campo di fragole che normalmente impiega 300 persone, oggi ne restano 80, e nel giorno dell’intervista i presenti erano solo 17. Non per disinteresse, ma per paura di essere fermati, arrestati ed espulsi.

Che il settore agricolo americano abbia un problema strutturale di sfruttamento e bassi salari è indubbio. Ma la linea dura dell’ICE non nasce per risolverlo: piuttosto criminalizza una forza lavoro essenziale, lasciando i produttori senza manodopera e mettendo a rischio la catena alimentare del Paese. Con un effetto collaterale immediato: il pericolo di spingere i prezzi dei prodotti freschi verso un’inflazione mai vista prima e i redditi dei produttori verso il baratro. Come se non bastasse, le cattive notizie arrivano anche dal fronte delle grandi colture sementiere, come riporta il sito Fortuneita.com. Mais e soia hanno subito un tracollo dai picchi del 2022: il mais ha perso oltre il 50% del valore, la soia circa il 40%, mentre i costi di produzione sono scesi solo marginalmente. La National Corn Growers Association parla di “crisi economica per l’America rurale” e teme un peggioramento entro il 2026; l’American Soybean Association avverte che i produttori di soia sono “sul precipizio finanziario e commerciale”, e chiedono a Trump di rimuovere i dazi e riaprire il mercato cinese.
Le ritorsioni tariffarie hanno infatti spinto Pechino a rivolgersi altrove, soprattutto in Sud America, con il Brasile a fare la parte del leone. A peggiorare lo scenario ci sono anche le condizioni finanziarie: secondo i sondaggi della Federal Reserve, i redditi agricoli sono in calo e tra il 30% e il 50% degli agricoltori – a seconda delle aree – segnala difficoltà crescenti nel rimborsare i prestiti. Per tamponare la crisi, la Casa Bianca ha varato il One Big Beautiful Bill Act, che destina 66 miliardi di dollari all’agricoltura (di cui 59 miliardi per rafforzare la rete di sicurezza) e sta puntando su nuovi accordi commerciali in Asia. Indonesia e Bangladesh hanno già incrementato gli acquisti, mentre Vietnam, Filippine e Thailandia potrebbero aumentare le importazioni di cereali da foraggio. Ma, al netto dei proclami, il bilancio è chiaro: i dazi e le retate hanno prodotto solo incertezza, frutta marcia nei campi, redditi agricoli in caduta e mercati internazionali persi a vantaggio dei concorrenti. Una politica che avrebbe dovuto rafforzare l’agricoltura americana, e che invece rischia di affondarla – trascinando con sé anche i produttori europei.
