GDO 2024: un primo trimestre incandescente

Gruppi emergenti, margini in contrazione e tensioni sindacali tengono banco

GDO 2024: un primo trimestre incandescente

La notizia di cronaca è la querelle sull’adesione allo sciopero indetto sabato scorso dai sindacati nella Grande distribuzione: “fra 70 e 100%, con massiccia partecipazione”, secondo gli organizzatori, che si contrappone alla stima “tra l’8 e il 9%”,  di Federdistribuzione, che ha evidenziato “disagi limitati e senza difficoltà negli acquisti”. In Italia, si sa, le statistiche sono “ballerine” ma, così, si rasenta il ridicolo.

Chi abbia ragione poco importa, ciò che va registrato è il clima di progressivo inasprimento dei rapporti nel sistema distributivo che si è esteso dalle relazioni con i fornitori agli stessi addetti e che, probabilmente, dipende dal malessere in cui versa la distribuzione moderna nazionale dallo scoppio della guerra in Ucraina. Resiliente durante il Covid, la Gdo ha sofferto poi dei rincari delle materie prime e dei prodotti derivati, da una parte, accompagnati dalla riduzione del potere d’acquisto dei clienti, dall’altra. Stritolati fra listini d’acquisto in aumento, a monte, e competizione orizzontale, a valle – fomentata soprattutto dall’imperioso sviluppo dei supermercati essenziali - i retailer nazionali storici hanno lasciato margini sul campo fra 2021 e 2023, come ha rilevato di recente anche Mediobanca, tanto che le imprese meno strutturate hanno sofferto profondamente e sono emersi così nuovi leader, in un scenario che era pressoché statico come ranking da quando Conad aveva operato il sorpasso su Coop ai vertici per fatturato. 

A svettare ora è Selex, un'unione volontaria molto dinamica, che riunisce imprese eccellenti  - per lo più familiari – leader nelle aree di influenza ma con modelli distributivi molto differenziati, accomunati però da profonde radici nei territori, che dimostrano – se ancora ve ne fosse bisogno – che l’Italia è un paese complesso sul fronte distributivo. A questo livello, le parole internazionalizzazione e globalizzazione assumono un connotato diverso rispetto all’industria manifatturiera, anche dell'alimentare. Più che i muscoli, infatti, qui serve mettere a valore ciò che fa davvero la differenza.

Sembrano sfuggire a questa logica solo i supermercati essenziali, che stanno insidiando il primato a quelli classici - in quanto proiettati a rappresentare in breve tempo il 40% del mercato moderno - guidati da Eurospin per fatturato ma da Aldi per ritmi di crescita, tanto e vero che il discounter tedesco macina progressioni di oltre il 30% in più anno dopo anno. Quell’Aldi che, negli Stati Uniti, sta diventanto uno spauracchio - con il suo modello di prossimità - anche per un gigante assoluto come Walmart. Infine, chi avrebbe mai pensato di trovare Vègè e Metro ai vertici nella crescita? L'unica certezza rimane la stratosferica vendita per mq di Esselunga, oltre 15.500 euro, ben 3.000 in più di Tesco, solido in seconda posizione.

E la nostra ortofrutta? Come si muove nello scenario distributivo il reparto dei freschi per eccellenza? Purtroppo, dopo l’assalto non finalizzato al 20% d’incidenza sulle vendite totali dei negozi della fine del decennio scorso e malgrado rimanga il reparto di riferimento nella scelta del negozio dove fare la spesa, dopo le difficoltà del 2023 occorre ripartire da dove eravamo 5 anni fa, ovvero prima del Covid. L’inflazione, infatti, negli ultimi anni ha salvato i fatturati ma i volumi languono e la segmentazione dell’offerta è, come si dice, product based e non consumer based. Tradotto, significa che non è capita dai clienti che, pertanto, non la premiano. In questo scenario occorrono perciò nervi saldi. Puntare tutto sul prezzo uccide i margini così come qualità tout court ammazza i volumi. Serve metodo, razionalità e anche un po’ di cuore. L’ortofrutta resta comunque una categoria emozionale, è bene ricordarlo.  

 

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