Il meglio di IFN
Uva da tavola, mercato in altalena. Seedless protagoniste, tradizionali da rilanciare
Ecco cosa è emerso durante la diretta di IFN andata in onda ieri mattina

Dopo un avvio brillante, la campagna dell’uva da tavola ha attraversato due mesi complessi. Agosto e settembre non hanno dato i risultati sperati, né sul fronte interno né su quello estero. Nelle ultime settimane, però, la situazione sembra mostrare timidi segnali di miglioramento e gli operatori restano fiduciosi su una possibile ripresa nella parte finale della stagione.
Se, da un lato, l’ascesa delle nuove varietà seedless appare inarrestabile, dall’altro il comparto invita a non archiviare l’uva tradizionale con semi, a condizione che venga proposta in versioni di alta qualità e sostenuta da progetti di comunicazione adeguati.
Questi i principali spunti emersi nella diretta social organizzata ieri da IFN (clicca qui per riverdere la diretta), che ha acceso i riflettori su uno dei protagonisti più discussi del reparto ortofrutta in queste settimane, per l’appunto, l’uva da tavola.
Al confronto hanno partecipato esponenti di primo piano della filiera: Alessandro Barbera, titolare e general manager del gruppo Barbera, e Leonardo Odorizzi, responsabile commerciale de La Grande Bellezza Italiana e presidente del Consorzio Pesca di Verona Igp, per la parte produttiva. Dal lato della distribuzione moderna sono intervenuti Giancarlo Amitrano, responsabile acquisti ortofrutta e ittico di CEDIGROS, e Fabio Ferrari, responsabile frutta e import di Coop Italia.
Ad aprire il confronto è stato, come di consueto, il direttore di IFN Roberto Della Casa, che ha tracciato il quadro del comparto con i principali dati di mercato. Dopo il Covid, i consumi di uva da tavola hanno registrato una contrazione di circa il 10%, una flessione che si è concentrata soprattutto nel canale tradizionale. A valore, tuttavia, il comparto resta in salute, con una crescita del 27% rispetto al 2020.
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Un risultato che non si spiega soltanto con l’“effetto prezzo”: negli ultimi anni l’offerta si è infatti evoluta grazie a una maggiore segmentazione e a un deciso miglioramento qualitativo.
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Passando all’attualità, i numeri della campagna in corso mostrano un andamento positivo fino a giugno, sia in termini di volumi che di fatturato. Da metà luglio a inizio settembre, invece, i dati segnalano una fase di sofferenza: calano i volumi, mentre il giro d’affari regge soprattutto grazie all’aumento dei prezzi.
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Un quadro che trova conferma anche nella distribuzione, come ha sottolineato Fabio Ferrari: «Sicuramente l’attacco di stagione di quest’anno non è stato brillante: da circa un mese le vendite stanno andando verso la controcifra e, a salvarle, sono soprattutto le uve senza semi, mentre sulle tradizionali purtroppo continuiamo a registrare trend negativi. Nell’ultimo mese le apirene hanno fatto segnare incrementi importanti a volume, in alcuni casi anche del 20%, con una performance piuttosto uniforme fra le diverse aree geografiche. Sulle uve tradizionali, invece, la situazione è differenziata: il Tirreno riesce a limitare il segno meno, mentre altrove i cali restano marcati, in alcuni casi anche a doppia cifra».
Un’analisi condivisa anche al Centrosud, pur con qualche distinguo, come ha evidenziato Giancarlo Amitrano: «Confermo la situazione anche per la nostra realtà, con un mese di agosto sottotono in termini di volumi, all’interno però di un reparto che nel complesso ha sottoperformato. Con la ripartenza di settembre e l’effetto rientro, tutto il reparto ortofrutta ha ripreso slancio, compresa l’uva da tavola, con crescite interessanti soprattutto per le apirene. Senza dimenticare l’importanza dell’uva tradizionale, che rappresenta ancora una quota rilevante al Centro-Sud. In questo contesto notiamo come le varietà a bacca rossa e nera siano più penalizzate, fagocitate dal boom delle seedless. Settembre, inoltre, è un mese che offre ottime opportunità di valorizzazione a scaffale, magari accostando l’uva alle zucche: un allestimento scenografico che può fungere da traino alle vendite».
La parola è poi passata ai produttori. Alessandro Barbera ha parlato di una campagna a due velocità: «La stagione siciliana è partita molto bene, con ottimi riscontri tra giugno e luglio sia per le varietà classiche sia per le apirene. Da agosto in avanti, però, i consumi hanno rallentato, complice un clima che è rimasto sostanzialmente estivo. Le alte temperature, se da un lato favoriscono un grado Brix elevato, dall’altro penalizzano la conservabilità: se il grappolo non viene staccato in tempi rapidi, con il mercato rallentato si rischiano criticità, soprattutto sull’export, dove i tempi di viaggio sono inevitabilmente più lunghi».
Un approccio più ottimista è arrivato da Leonardo Odorizzi: «Il nostro areale di riferimento è la Puglia, che da sola rappresenta il 60% della produzione nazionale ed è tra i principali poli produttivi europei. In avvio c’era il timore che l’aumento dei volumi rispetto allo scorso anno potesse portare a un calo delle quotazioni, ma i prezzi si stanno mantenendo su livelli accettabili. Agosto non è stato brillante, ma settembre sta andando meglio e la qualità del prodotto ci aiuta a mantenere il valore sperato. Inoltre, sul piano del marketing, la nostra scelta di puntare su packaging caratterizzanti e distintivi che comunicano al consumatore si sta rivelando vincente, perché fidelizza il cliente».
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L’avanzata delle seedless è ormai un dato consolidato. «I numeri confermano questa progressione – ha sottolineato il nostro direttore –: nel segmento confezionato, in cinque anni le apirene sono cresciute di 130 punti, con un trend costante che evidenzia la natura strutturale e non contingente del fenomeno. L’uva Italia ha invece subito un calo drastico, dimezzando i volumi, mentre la Pizzutella è cresciuta di 55 punti. In generale, il confezionato sta quasi compensando il calo del peso variabile».
Sul tema dell’evoluzione varietale è intervenuta la distribuzione. «È evidente che le uve apirene abbiano registrato una crescita importante – ha ribadito Fabio Ferrari – erodendo spazio alle tradizionali. Per noi il rapporto tra classiche e apirene è passato dal 70:30 del 2021 al 52:48 del 2024, e già dal 2025 prevediamo il sorpasso delle seedless. Il consumatore si orienta verso le senza semi per comodità, croccantezza e dolcezza, sempre più presenti nelle nuove selezioni. Noi siamo stati lungimiranti nel crederci fin dall’inizio e la Mdd è stata cruciale. Per le classiche occorre una riflessione: credo che la qualità sia l’arma decisiva per limitarne il calo e rilanciarle. È un aspetto cruciale da tenere in considerazione».
Un focus particolare è stato posto anche sul confezionato. «Un altro elemento da sottolineare – ha aggiunto Giancarlo Amitrano – è il ruolo del confezionato, che resta la modalità principale di vendita delle seedless. Questo però ha ridotto i volumi assoluti, perché i pack da 500 o 800 grammi non hanno lo stesso impatto volumetrico dello sfuso. È inevitabile che, al crescere delle seedless vendute confezionate, i volumi complessivi diminuiscano. Per noi il rapporto resta ancora 70:30 a favore delle classiche, che continuano a rappresentare un punto di forza, soprattutto al Centro-Sud, dove lo sfuso mantiene rilevanza. Per questo abbiamo introdotto anche le apirene sfuse, così da andare incontro alle peculiarità della nostra piazza».
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Il dibattito si è poi spostato sul tema della gestione delle referenze e della destagionalizzazione. «L’aumento delle varietà apirene – ha spiegato il nostro direttore – ha inevitabilmente generato una crescita delle referenze, come dimostrano le rilevazioni in Gdo. La campagna si concentra tra settembre e novembre: come gestire questa situazione? C’è spazio per la destagionalizzazione?»
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Gli spunti sono stati raccolti subito dai buyer. «In Coop abbiamo creduto da subito nel segmento – ha ricordato Ferrari – e la nostra Mdd, Fior Fiore, è stata trainante. La bianca senza semi ha avuto immediato successo e ha accelerato la crescita, poi abbiamo sviluppato anche la rossa e nera senza semi, con risultati molto positivi. Tra le tradizionali, solo la Pizzutella sembra reggere la competizione. Quanto alla destagionalizzazione, credo che l’uva possa seguire la strada di agrumi, kiwi e piccoli frutti: qualità elevata come prerequisito. Da due anni testiamo fra aprile e maggio le stesse varietà seedless dal Sud America, e i risultati sono molto incoraggianti: stiamo valutando l’opportunità di presidiare altri periodi».
Un approccio che trova eco anche nelle parole di Amitrano, con un accento sul valore territoriale: «Il prodotto tradizionale, soprattutto se locale, può ancora dire molto. La Pizzutella sta tornando in auge e la varietà laziale ha caratteristiche distintive rispetto a quella pugliese: acini più allungati, punta più accentuata e un sapore deciso con Brix elevato. Nell’area di Tivoli, storicamente vocata alla produzione, stiamo sostenendo i produttori con programmazione e ritiro, valorizzandola con il marchio “Vicini a te”, che promuove eccellenze e localismi. È un segnale forte: non bisogna abbandonare le uve tradizionali, ma sostenerle con progetti di qualità, magari veicolati dai brand». (bf)
