Il “lusso” nel futuro dell’ortofrutta italiana

Vocazione e necessità potrebbero essere il mix vincente

Il “lusso” nel futuro dell’ortofrutta italiana

So che di questi tempi un titolo del genere può apparire una provocazione, soprattutto leggendo quanto riportato nell'articolo di oggi sui carciofi, ma dopo diverse riflessioni mi sto convincendo che in realtà puntare a realizzare prodotti di lusso è un’opzione concreta, forse non l’unica ma – di certo - la più convincente fra tutte quelle di cui sento parlare e, per avere ulteriori conferme, basta guardare il successo, ben oltre la nicchia, che stanno avendo anche per l’ortofrutta le declinazioni sul top di gamma delle marche della distribuzione moderna.

Tutto è cominciato leggendo verso fine d’anno un’intervista a Matteo Lunelli, CEO di Cantine Ferrari, in cui affermava: ”Altagamma è la locomotiva d’Italia”. Altagamma è la fondazione che riunisce alcuni fra i marchi più famosi del Made in Italy, di cui Lunelli è il Presidente e rappresenta l’impresa di famiglia. La moda è il comparto più rappresentato e, in effetti, nel 2022 ha superato per la prima volta la soglia dei 100 miliardi di fatturato, con una crescita media del 16% sul 2021 ma anche del 9% sul 2019, ultimo anno “normale”. Nel comparto, poi, vi sono state anche imprese che hanno battuto ogni record, come Cucinelli, che è cresciuto del 30% e che prevede di raddoppiare il fatturato entro il 2024, per cui l’affermazione di Lunelli pare davvero centrata.

Oltre alla moda, al design e all’automotive, in Altagamma vi sono anche una ventina di imprese dell’alimentare, di cui solo una – Agrimontana – è collegata ai prodotti ortofrutticoli, visto che fa trasformati a base di questi, ma sono assenti quelle del fresco. La parte del leone la fanno i vini e, a suggellare quanto dice il Presidente di Ferrari, basta dire che nel 2022 sono state vendute 970 milioni di bottiglie di spumante italiano nel mondo, per 2 miliardi di euro di fatturato, con una crescita vicina alle due cifre rispetto all’anno precedente. Anche caffè, riso e cioccolato sono ben rappresentati nella fondazione, ma manca qualsiasi esponente della seconda voce dell’export agroalimentare nazionale. Perché?


La domanda è legittima perché occorre osservare che se l’Italia ha la più grande quantità al mondo di vitigni autoctoni e una consolidata tradizione sull’enologia, altrettanto possiede autentiche distintività nel mondo ortofrutticolo; solo per fare qualche esempio non esaustivo: arance, limoni, fichi, uve da tavola, pomodori, agli, radicchi e carciofi, kiwi, ciliegie, pere e mele in così tante sfaccettature che servirebbe un libro e non un articolo per approfondire; mi scuso fin da ora per altrettante specialità che non ho citato, ma il fine non è un elenco completo ma il senso di questa cosa.


È altrettanto vero che non è tutto oro ciò che luccica e che per molte di queste produzioni parlare ora di “altagamma” fa sorridere, poiché spesso non si raggiunge neanche la soglia di sufficienza. È però parimenti vero che spesso senza alcun merito da parte nostra – e sottolineo alcun – il sentiment sui nostri prodotti alimentari, ortofrutta inclusa, è straordinario. Il pomodoro italiano è il preferito dai consumatori di tutto il mondo – le nostre ricerche lo confermano - malgrado il nostro pomodoro nella maggior parte dei paesi non ci sia. Anche la San Pellegrino è l’acqua più amata nel mondo, però è presente ovunque.

Di fronte a queste evidenze, forse varrebbe la pena di concentrarsi davvero a valorizzare al meglio le nostre specialità, penso solo alle pere su cui sto lavorando in questo momento e su cui emerge chiaramente che mancano di qualità, non di estimatori. Anziché continuare a raccontarci di recuperi del nostro sistema ortofrutticolo basati su efficienza produttiva, logistica adeguata, aggregazione, tecnologie, marche e brevetti che ci consentano di competere ad armi pari nello scenario internazionale sui costi (ma c’è davvero qualcuno che ci crede?), forse dovremmo seguire la nostra vocazione – non solo nell’agroalimentare – a fare eccellenza con quel pizzico di estro inimitabile che tutto il mondo ci riconosce e che, proprio per questo, fa accettare prezzi più alti.
Forse è questa la strada maestra, anche perché produrre eccellenza per chi si può permettere di pagarla, sia in Italia che all’estero, servirà a trainare anche il resto, che magari proprio così eccellente non è. Ancora una volta il Made in Italy che funziona ce lo insegna: il prosecco, la 500 e la jeanseria sono forse prodotti per pochi? Certo che no, ma godono del traino delle eccellenze dei relativi segmenti.

Infine, ma non in ordine d'importanza, visto che produciamo ortofrutta ben oltre le necessità del mercato interno, potremmo ridurre le quantità a favore della qualità senza intaccare l'autosufficienza, garantendo in caso di bisogno adeguate quantità rispetto ai nostri fabbisogni di una risorsa strategica. Di questi tempi non è proprio poco.