L’ortofrutta può battere medicine e integratori

Cinque mosse per vincere la sfida contro semaglutide & Co

L’ortofrutta può battere medicine e integratori

Già il nome desta curiosità, il fatto che possa curare due piaghe come diabete di tipo 2 e obesità lo fa diventare interessante, se poi ti da garanzia di dimagrire diventa avvincente, per non dire appassionante. Questa è stata l’escalation del semaglutide, di cui abbiamo parlato questa settimana (clicca qui per scoprire di più) e che ci ha fatto balzare agli onori della cronaca con visualizzazioni dell’articolo da quotidiano generalista e non da newsletter specializzata.
In redazione sono arrivate richieste sul dove reperirlo, sul come usarlo, sui rischi connessi all’assunzione, segno che anche fra i lettori il problema del sovrappeso è sentito e le scorciatoie gradite, anche se ricordo, il semaglutide non è un integratore alimentare e richiede il supporto medico sia nell’uso terapeutico che “off label”.
Ai nostri fini, però, anche il fatto che stia andando comunque a ruba nelle farmacie italiane, tanto da rischiare di non esser disponibile per chi ne ha davvero bisogno, passa in secondo piano. A noi deve interessare cosa ci può insegnare il fenomeno semaglutide per reagire e vincere la sfida. Ho provato a riassumerlo in 5 punti:

1. L’importanza della scala delle priorità. L’aspetto esteriore nell’epoca dell’immagine ha di gran lunga surclassato il piacere del cibo e anche della naturalità dell’alimentazione. D’altra parte, anche l’aumento dei prezzi di ristoranti, alberghi e divertimenti è stato ben superiore all’inflazione media e, dopo 2 anni di segregazione, questi servizi sono saliti nella lista delle priorità ben al disopra del mangiar bene a casa tutti i giorni. I tanti che non hanno risorse a sufficienza per far tutto tagliano dunque la spesa alimentare. Qui si può fare poco nel breve: o si interviene con un grande progetto di pubblicità e progresso sensibilizzando il consumo di frutta e verdura o si prova piano piano a migliorare il percepito del valore del cibo, in particolare di questa categoria.

2. Il valore di praticità, velocità e semplicità. Che ci piaccia o no anche gli integratori, oltre alle medicine, sono più pratici anche se più costosi dell’ortofrutta. Ogni anno me lo ripetono da tempo i miei 150 studenti che rifiutano la spremuta. Ma senza andare tanto lontano, basta ricordare che parliamo di ritornare alla vendita dello sfuso per ragioni ambientali, quando dovremmo pensare ad alzare il valore del servizio riducendo le dimensioni delle confezioni per evitare sprechi. I prodotti servizio a base frutta sono schiacciati dalla lotta sui margini fra produttori, produttori-insegne e fra le insegne stesse, non dalla domanda. Qui si può fare di più da subito basta pensare a fare “meno e meglio”, portando vera innovazione con prodotti pratici e dalle prestazioni consistenti.

3. Il potere del mouth to mouth. Non ho volutamente usato la parola virale, che va oggi di moda, perché non è un potere di internet o dei social la viralità. La forza sta nel messaggio che anche quando si utilizzava solo il mezzo del racconto di persona funzionava altrettanto bene. Il problema è avere prestazioni interessanti, prodotti distintivi per non dire unici, funzioni d’uso o occasioni di consumo coinvolgenti o, più semplicemente, saper generare emozioni. Questo dovrebbe essere il pensiero ossessivo delle aziende, non fare prodotti un po’ diversi per occupare i banchi dei supermercati. Così non vi sarà mai una svolta, che il semaglutide invece promette e pare poter mantenere.

4. Il disinteresse per le conseguenze. Non ce lo mostra solo il caso di questo farmaco. La sofferenza del pianeta e gli allarmi degli scienziati rimangono inascoltati perché – nei fatti - si vive intensamente il presente senza preoccuparsi del futuro. Il successo senza sosta di dolci e alcolici lo testimoniano anche sul cibo. Temo che la litania “la frutta e la verdura fanno bene” abbiano lo stesso effetto di quando mia madre mi raccomandava di andare piano con il go-kart. Qui occorre un cambio di paradigma completo: la frutta deve diventare buona e le preparazione vegetali gourmet, salvo poi mantenere la promessa, per cui ricadiamo nel caso di fare meno e meglio.

5. Il valore relativo del denaro. Fra i tanti che hanno scritto devo ringraziare anche una dottoressa che mi ha evidenziato che in Italia il semaglutide non costa il migliaio di dollari al mese degli Stati Uniti ma poco più di 3.000 euro all’anno, pregandomi di precisarlo, credo perché ritenga che questo possa renderlo più appetibile. Faccio volentieri la puntualizzazione ma il valore rimane proibitivo e assurdo per scopi non terapeutici, considerando che il reddito medio pro-capite nel nostro paese è dell’ordine dei 20.000 euro all’anno. Ieri, parimenti, qualcuno ci ha scritto che le pere a 8 euro al kg in Austria sono uno scandalo (clicca qui per approfondire), magari leggendo questo passaggio potrà fare una riflessione in proposito. Più si alza il valore relativo degli altri beni e la nostra reazione è abbassare quello di frutta e verdura, più la situazione peggiorerà perché resteranno sempre meno risorse da dedicare a quest’ultima. Per sapere che fare rimando ai casi precedenti.

Queste brevi considerazioni evidenziano la necessità di ripensare l’approccio alla costruzione del valore in questo settore. Proveremo a tradurlo in un vero e proprio progetto di ReMarketing, di cui parleremo nel prossimo Think Fresh, in programma il prossimo 2 Maggio al Centro Congressi del Gran Hotel di Rimini (clicca qui per maggiori informazioni